Applicare la Legge sul femminicidio anche alle coppie omosessuali
Il 15 ottobre scorso, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, la Legge 119/2003, con la quale è stato convertito, con modifiche il c.d. Decreto Legge sul femminicidio, il D.L. 93/2013.
Molte sono le novità introdotte.
Si va dalle nuove aggravanti generiche, alla misura precautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, dall’istituzione di case rifugio, alla tutela penale garantita anche al componente di una relazione affettiva.
E’ questa, forse, la maggiore novità, poiché la relazione affettiva prescinde dalla convivenza o dal vincolo matrimoniale attuale o pregresso.
Ma le norme sul femminicidio ed in particolar modo le aggravanti introdotte per il reato di violenza sessuale e per il reato di stalking potranno trovare applicazione anche quando le violenze si consumano all’interno di una coppia omosessuale?
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La mia personale risposta è positiva.
Il decreto legge prima e la legge di conversione dopo, sono state molto criticate.
C’è chi ha parlato dell’ennesima ghettizzazione della figura della donna, altri, invece, hanno ritenuto che la figura della donna sia stata persino svilita perché le norme in questione sono contenute in un provvedimento che tratta anche di furto di identità, di furto di rame e di Provincie.
Siamo alle solite: il Governo di turno, spinto soprattutto dalla pressione esercitata dai media, ha ritenuto opportuno ricorrere alla decretazione d’urgenza, nonostante un vero e proprio progetto di legge sul femminicidio fosse già in cammino per la sua approvazione.
Lo spirito delle norme sul femminicidio o, meglio, “in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”, risiede nel tentativo arginare la violenza maschile esercitata a discapito della donna.
Secondo i tanti studi e le ricerche facilmente rintracciabili in rete, il fenomeno del femminicidio, invero, avrebbe origine nella crisi di identità del maschio che, non riuscendo a conformarsi alla nuova identità femminile, cerca, tramite la violenza, di riappropriarsi di un ruolo gerarchico oramai minato o definitivamente perso.
Ma, diversamente dall’effettiva ratio, a ben vedere, la norma sul “femminicidio” non fa alcuna distinzione fra i sessi!
Questo è ben comprensibile!
In Italia, vige il principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione) e tutti quanti, indipendentemente dal nostro orientamento sessuale, siamo (o dovremmo essere) uguali.
Tutti quanti siamo titolari di diritti inviolabili connessi alla nostra persona, dunque, non sarebbe stata coerente, con il nostro ordinamento, una norma che trattasse in modo differente la violenza esercitata da un uomo verso una donna, rispetto a quella esercitata dalla donna contro l’uomo.
L’art. 1 del D.L. 93/2013, infatti, introducendo una nuova aggravante al delitto di violenza sessuale (art. 609 bis c.p.), ha previsto un aumento di pena per il colpevole che abbia commesso atti di violenza nei confronti del coniuge, anche separato o divorziato, ovvero nei confronti della persona alla quale è o è stato legato da una relazione affettiva, anche senza convivenza.
Il passo al riconoscimento di una maggiore tutela anche ai casi di violenza all’interno di coppie omosessuali è breve e, per certi, versi non necessita neanche di grandi sforzi logici e/o giuridici.
Come si può qualificare una relazione fra persone dello stesso sesso se non “affettiva”?
Sarebbe illogico o, meglio, irragionevole, classificare come affettiva una relazione fra etero e non affettiva quella fra persone dello stesso sesso.
Analogo discorso è possibile rapportarlo all’ipotesi delittuosa degli atti persecutori, il c.d. stalking, ove la Legge di conversione 119/2013 ha introdotto una circostanza aggravante simile, che fa riferimento alla relazione affettiva fra colpevole e vittima, ancora in corso o già terminata.
L’applicazione delle nuove norme, anche ai casi in cui vittima e colpevole abbiano lo stesso sesso, poi, non costituirebbe neanche il frutto di un’interpretazione analogica, vietata dalla legge, stante, lo si ripete, il tenore estremamente neutro, delle norme in questione.
I tempi sono maturi… o quasi.
Già la giurisprudenza della Corte di Cassazione ammette che il delitto di maltrattamenti in famiglia possa sussistere anche fra conviventi (etero), poiché ha ritenuto che il concetto di "famiglia" ricomprende ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo (Cass. Pen., Sez. II, 40727/2009).
Dunque, è ben possibile, abbandonando ogni pregiudizio, sostenere che le nuove norme, ideate per arginare il triste fenomeno del femminicidio, possano trovare applicazione anche quando la violenza è consumata fra persone dello stesso sesso.
Avv. Gennaro Marasciuolo