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Consenso informato e irrilevanza del titolo professionale del paziente.

Uno dei tanti obblighi ai quali il medico deve adempiere in modo puntuale e preciso, consiste nel fornire al paziente le informazioni in ordine:

1) al suo stato di salute;

2) alle terapie idonee;

3) agli aspetti positivi ed alle controindicazioni di queste ultime;

4) all'esistenza di eventuali terapie alternative;

5) alle probabilità di insuccesso;

6) al decorso successivo alla terapia.

Il fine di questo obbligo è di mettere il paziente nelle condizioni di prestare il proprio “consenso informato”.

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Non si tratta, dunque, di un semplice consenso, bensì di un consenso completo, effettivo e consapevole.

Ne consegue, l'irrilevanza della “qualità” del paziente, del suo livello culturale o del titolo di studio che ha conseguito, perchè ciò che importa è la piena consapevolezza di aderire ad un determinato trattamento sanitario.

E' questo, in estrema sintesi, quanto disposto dalla sentenza 19220 della Corte di Cassazione, con la quale è stato deciso un caso riguardante un avvocato che non aveva ricevuto dal medico una completa informazione in relazione al possibile esito negativo dell'intervento di fotoablazione corneale ad entrambi gli occhi, al quale era stato sottoposto con esito ritenuto infausto.

Come già più volte chiarito sia dalla stessa Suprema Corte, che dalla Corte Costituzionale, il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione e svolge la funzione di garantire la tutela del diritto all'autodeterminazione e del diritto alla salute, due diritti fondamentali della persona.

Ciò che rileva, dunque, ai fini della responsabilità del sanitario, è che il paziente, a causa della scarsa o della mancata informazione, non sia stato messo nelle condizioni di esprimere in modo consapevole la propria volontà, poiché è da questo deficit informativo che deriva una lesione della sua dignità, con sofferenza sia fisica che psichica.

Se quello che conta effettivamente è l'autodeterminazione del paziente, la sua qualità non può incidere sull'obbligo informativo, ma sulle modalità con le quali l'informazione può essere fornita, ad es. adottando un linguaggio che tenga conto del suo grado di istruzione.

La Corte di Cassazione è pervenuta alle medesime conclusione adottate in una precedente sentenza, la 20984/2012, che riguardava, per giunta, un paziente – medico, che svolgeva la sua professione all'interno del medesimo ospedale, ove era stato sottoposto a terapia cortisonica che gli aveva procurato delle gravi lesioni ad entrambi i femori.

In quest'ultimo caso, la Suprema Corte ha dovuto bacchettare i giudici del merito, ritenendo che non è possibile presumere la sussistenza del consenso, neanche se il paziente è un medico e ha avuto innumerevoli occasioni per incontrare i colleghi che lo curavano, perchè lavorava nella loro stessa struttura ospedaliera.

Il consenso, infatti, per essere “informato” deve essere effettivo e giammai presunto, nonostante il paziente sia in possesso di particolari qualità o di un notevole bagaglio culturale.

Graverà, dunque, sul sanitario informare adeguatamente il paziente e, successivamente, in caso di controversia, provare di aver adempiuto al proprio obbligo e, quindi, che il paziente era stato messo nelle condizioni di “autodeterminarsi”.

Avv. Gennaro Marasciuolo

Per chi volesse approfondire, ecco qui le sentenze citate, per esteso:

Files:
Cass. 19220 2013 consenso informato qualità paziente 01-10-2013 192.81 KB

Cass. 20984 2013 consenso informato 01-10-2013 188.22 KB

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