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La Corte Costituzionale e la presunta rivoluzione sul criterio di attribuzione dell'assegno di divorzio

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 11 dello scorso 10 febbraio, diversamente da quanto sbandierato sui giornali e su alcuni blog, ha riconfermato l'uso del parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile all'ex coniuge, non incidendo in alcun modo su quanto stabilito sino ad ora dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, anzi attingendone a piene mani.

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Come si determina l'assegno di divorzio?

L'iter logico che deve seguire il Tribunale, in virtù dell'art. 5, sesto comma della Legge sul Divorzio, per determinare l'assegno di divorzio, si svolge in due fasi:

I) prima di tutto è necessario accertare l'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante;

II) qualora sia stata provata la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento dell'assegno di divorzio, è possibile passare alla sua quantificazione, tenendo conto dei parametri elencati nell'art. 5, sesto comma L.D., vale a dire:

1) le condizioni dei coniugi;

2) le ragioni della decisione;

3) il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge

alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o

di quello comune;

4) il reddito di ciascun coniuge;

5) la durata del matrimonio.

Analizziamo la prima fase, che è quella che più interessa ai fini della lettura della sentenza della Corte Costituzionale, ahimè alquanto stringata.

L'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge richiedente, come è stato interpretato sin dalla sentenza n. 11490/1990, resa dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, va intesa, non come stato di bisogno, bensì come insufficienza dei mezzi (comprensivi di redditi, cespiti immobiliari ed altre utilità) a conservare all'ex coniuge un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Ciò che rileva, dunque, è l'apprezzabile deterioramento, causato dal divorzio, delle precedenti condizioni economiche, che devono essere ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio.

L'interpretazione inaugurata dalle Sezioni Unite della Cassazione

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, quindi, ha attribuito

all'assegno di divorzio una natura assistenziale, in ragione del

principio di solidarietà post-coniugale, considerato espressione del

dovere di solidarietà economico-sociale sancito dall’art. 2 Cost., dalla

quale sorge l’obbligo di corrispondere un assegno periodico a favore

dell’ex coniuge privo di mezzi adeguati, nonché di riparare allo

squilibrio economico derivante dal divorzio, in piena conformità al

valore del matrimonio come indicato dall’art. 29 Cost.

Sganciando il presupposto dell'”inadeguatezza dei mezzi” dal concetto di stato di bisogno e legandolo a quello dell'analogo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, la giurisprudenza ha riconosciuto l'attribuzione dell'assegno divorzile anche quando, ad esempio, l'ex coniuge era del tutto autosufficiente, anche con patrimoni personali più che dignitosi, ma che non consentivano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio (Cass. Sez. I, 23442/2013).

I dubbi di costituzionalità del Tribunale di Firenze

Dalla succinta sentenza della Corte Costituzionale si evince che l'interpretazione data dalla Suprema Corte, secondo il Tribunale di Firenze, non rispetterebbe la nostra Costituzione e renderebbe illegittimo l'art. 5, comma 6 L.D., perchè volta a far garantire, con l'assegno di divorzio, al coniuge economicamente più debole, il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

L'illegittimità sarebbe fondata, perchè, sempre per il tribunale fiorentino, l'interpretazione data sino ad oggi:

1) violerebbe l'art. 3 della Costituzione per contraddizione logica, poiché il criterio del “tenore di vita” verrebbe proiettato oltre l'orizzonte matrimoniale;

2) violerebbe l'art. 2 della Costituzione per “eccesso di solidarietà”;

3) violerebbe l'art. 29 della Costituzione, perchè renderebbe indissolubile il vincolo matrimoniale.

La risposta della Corte Costituzionale

Ritorniamo, quindi, a quello che è stato deciso dal Giudice delle leggi, il quale, però, non brilla in chiarezza.

Questi non ha fatto altro che ribadire la correttezza, a livello costituzionale, dell'interpretazione resa dalla Corte di Cassazione in materia di assegno di divorzio e, attingendo dalle pronunce di quest'ultima, ha ribadito che il tenore di vita non è l'unico l'unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull'assegno divorzile, ma deve essere bilanciato con i parametri concernenti la quantificazione.

In altre parole l'analogo tenore di vita consente, al Tribunale, di fissare un primo astratto ammontaredell’assegno divorzile, già nella prima fase, consentendo, così, di raggiungere il tetto massimo dell'assegno, già nel momento in cui si accertato la sussistenza del relativo diritto.

A tale prima quantificazione deve necessariamente far seguito quella descritta come “seconda fase”, per adeguare in concreto l'assegno ai parametri indicati nell'art. 5, comma 6 L. D., così da diminuire il suo ammontare fino anche ad azzerarlo.

In questo modo si evita la costituzione di rendite parassitarie in favore di ex coniugi, determinando l'assegno di divorzio attraverso una visione ponderata e globale di tutti i criteri di quantificazione.

Come al solito, è sempre meglio non fidarsi dei titoli, ma se l'argomento merita, approfondire risalendo alla fonte.

Ecco perchè ho disseminato, come al solito, il post di link che rinviano alle sentenze richiamate.

Avvocato Gennaro Marasciuolo del Foro di Trani

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