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Locazione. Incostituzionali gli sconti sugli affitti in nero, ma la nullità permane

La notizia della sentenza n. 50/2014 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 8 e 9 dell’art. 3, D. Lgs. 23/2011, è oramai stata battuta, ricopiata e diramata in ogni angolo del web e oltre.                      

Ma quali sono le conseguenze pratiche di questa pronuncia?

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La Consulta ha dichiarato illegittime e, quindi, abrogato, le norme inserite nella “cedolare secca” che stabilivano, per i soli contratti di locazione di immobili ad uso abitativo non registrati entro il termine stabilito dalla legge:

  1. la durata della locazione in 4 anni, a decorrere dalla data della registrazione;
  2. l’assoggettamento del rinnovo contrattuale alla disciplina dell’art. 2, comma I, della L. 431/1998 (4 + 4 anni);
  3. la fissazione del canone annuo di locazione pari al triplo della rendita catastale a decorrere dalla data di registrazione, oltre l’applicazione dell’aggiornamento del canone, a partire dal secondo anno, in virtù del 75% degli indici ISTAT.

Le norme in questione, dunque, si applicavano ai soli contratti di locazione ad uso abitativo:

* se soggetti a registrazione (e non registrati o registrati in ritardo);

* il cui canone di locazione indicato nel contratto registrato era di valore inferiore a quello effettivamente corrisposto;

* se era stato registrato un contratto di comodato che mascherava un vero e proprio contratto di locazione.

In concreto, veniva concessa una grande chance ai conduttori per “gabbare” locatori poco accorti: non era difficile, infatti, per gli inquilini, al momento della stipula del contratto di locazione, allettare il proprietario di casa con il risparmio sull’imposta dei redditi, prospettando la non registrazione del contratto o comunque assecondare locatori “furbetti”, per poi registrare il contratto di locazione ed ottenere un canone di locazione sicuramente inferiore a quello pattuito (il triplo della rendita catastale) e l’estensione della durata del contratto di locazione (4 anni dalla data di registrazione del contratto e non dalla materiale stipula).

La Corte Costituzionale ha posto fine a questa stortura.

Era, infatti, illogico che, per il mancato rispetto dell’obbligo di registrazione del contratto di locazione che gravava (e grava tutt’oggi) sia sul conduttore e sia sul locatore, fossero previste delle sanzioni a danno del solo locatore.

Ma i giudici delle leggi non sono entrati nel merito della vicenda. Si sono limitati a dichiarare l’illegittimità costituzionale delle norme in questione, per eccesso di delega.

In altre parole, hanno abrogato i commi 8 e 9 dell’art. 3 del D.Lgs. 23/2011 in quanto il Governo (legislatore delegato) che le aveva elaborate, era andato oltre i principi fissati dal Parlamento (legislatore delegante), con la legge delega.

Dal 15 marzo scorso, dunque, saranno i conduttori ad avere la peggio, perché, se si sono avvantaggiati del particolare regime loro favorevole fissato dal D.Lgs. 23/2011, oggi devono necessariamente adeguarsi, versando il canone di locazione stabilito in contratto, per evitare di risultare inadempienti e, quindi, correre il rischio di essere sfrattati.

Ma, se è stata eliminata una pericolosa ingerenza nell’autonomia contrattuale delle parti giustificata per colpire i “contratti a nero” e, quindi, l’evasione fiscale, permane sempre la sanzione della nullità prevista dall’art. 1, comma 346 della L. 311/2004 (Legge Finanziaria per l’anno 2005).

Quest’ultimo comma prevede che qualsiasi contratto di locazione, sia esso ad uso abitativo, che a uso diverso dall’abitativo, aventi ad oggetto unità immobiliari, è nullo se, ricorrendone i presupposti, non è stato registrato.

L’ambito oggettivo del comma 346 è più ampio rispetto a quello delle norme abrogate, perché ricomprende anche i contratti di locazione ad uso diverso dall’abitativo. I contratti, però, devono avere ad oggetto unità immobiliari, vale a dire, degli edifici o porzioni di edifici, escludendo, di tal fatta, i contratti d’affitto di fondi rustici o similari.

Si è dunque passati dalla padella alla brace? O meglio, si è tornati sulla brace?

La nullità del contratto, infatti, è una sanzione ben più grave rispetto alla riduzione del caone di locazione o alla sua estensione temporale a 4 anni dalla registrazione.

La nullità, “civilisticamente” parlando (art. 1418 c.c.), fa morire il contratto e lo fa in modo retroattivo, vale a dire, da quando era stato materialmente sottoscritto. La scomparsa del contratto dovrebbe comportare la restituzione delle prestazioni eseguite dalle parti, che, però, nel caso della locazione, non potrà avvenire. Se, infatti, il locatore potrebbe restituire i canoni percepiti, il conduttore non può rendere la fruizione dell’immobile. Cosa si fa in questi casi?

Niente paura!

Viene in soccorso la giurisprudenza di merito, quella dei tribunali, che ha risolto la questione in via interpretativa.

Dopo, infatti, che il comma 346 ha superato, per ben due volte, il controllo della Corte Costituzionale (ordinanze nn. 389/2008 e 420/2007), la gran parte dei Giudici di Tribunale, ritengono che la norma in questione non vada applicata alla lettera e, laddove prevede la nullità del contratto, vada letto inefficacia del contatto di locazione (es. Trib. Messina, Sez. I, 23/05/2013).

In questo modo, il contratto di locazione non registrato non sarebbe nullo, ma inefficace, poiché acquisterebbe efficacia solo a seguito della sua registrazione.

Così interpretando, l’art. 1, comma 346 della L. 311/2011, diventerebbe conforme anche al dettato dell’art. 10, comma 3 della L. 212/2000, il c.d. Statuto dei Contribuenti, che esclude la possibilità di irrogare la sanzione della nullità del contratto, per violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario.

Avvocato Gennaro Marasciuolo

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